domenica 26 giugno 2011


Parte Quinta
Gli anni del linguaggio: 1968-77
Capitolo 20 
Nuove libertà
I moti rivoluzionari del ’68 comportano una serie di cambiamenti nelle strutture sociali.
I movimenti femministi, Martin Luther King e le lotte per i diritti dei neri, i movimenti contro la guerra del Wietnam, i moti studenteschi, non sono altro che le esplicitazioni dell’emergere di un sentire comune che ha come obiettivo l’ottenimento della libertà.
La sovrapposizione tra la dimensione estetica e quella etica che aveva caratterizzato le avanguardie artistiche degli anni venti e si era poi manifestata nei gruppi più innovativi degli anni cinquanta, raggiunge in questi anni una dimensione di massa, influenzando significativamente il campo delle arti e del cinema (Easy Rider di  Dennis Hoppe del 1969, 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick del 1968…).
I primi anni settanta sono caratterizzati, inoltre, dalla nascita del Personal Computer (1976),che consentendo di usare lo strumento informatico non soltanto per il calcolo ma come mezzo a servizio delle esigenze personali, si pone come diretta emanazione della cultura libertaria.
Tali slanci rivoluzionari trovano una vivace applicazione nel campo del design dove la libertà nell’uso delle forme e dei materiali, consente il fiorire di sperimentazioni radicali.

In architettura la penetrazione dei nuovi temi legati alla liberazione è più lenta, ma segna già a partire dai primi anni settanta alcuni esiti.
Interessanti sono le ricerche sulla spazialità “diagonale” che, portavano avanti l’idea di una ibridazione tra arte e architettura. Significativo in tal senso è il padiglione di Claude Parent alla Biennale di Venezia del 1970, in cui un percorso a zig-zag  che lega quote diverse e si frammenta in piani e rampe, distoglie l’attenzione dalle opere esposte, mettendo al centro della mostra la creazione spaziale dell’architettura del padiglione.
Segnale che lancia un messaggio di trasparenza, di vitalità, di apertura la mondo è il Parco Olimpico per le Olimpiadi del 1972 a Monaco, progettato dall’architetto Gunther Behnisch, in cui una grande tensostruttura copre lo stadio e le aree circostanti riproponendo l’idea del villaggio.
L’ingegnere italiano Sergio Musmeci progetta nel 1969 il grande ponte sullo stretto di Messina risolvendo la campata di tre chilometri con un’affascinante struttura membranale, eccellente esempio di come il calcolo possa sostanziare l’invenzione architettonica.
Ma le ricerche più avanzate degli anni settanta trovano concretizzazione nell’edificio, progettato da Renzo Piano e Richard Rogers,  per il nuovo Centro di arte contemporanea di Parigi. I due architetti progettano un’architettura basata sulla presenza delle funzioni nuove della società di massa, proponendo un edificio in cui struttura, impianti e circolazione vengono portati all’esterno in modo da lasciare completamente libero lo spazio interno che, attraverso pannellature leggere e un sistema di movimento meccanico dei solai, risulta completamente disponibile ai diversi e mutabili utilizzi.  Le relazioni che il Centre Pompidou instaura con la piazza antistante inducono a sperimentare una fruizione libera e antimuseale dell’arte.

Contemporaneamente agli inizi degli anni settanta si sviluppano una serie di riflessioni sul tema dell’abitazione e in particolare sulle relazioni tra spazio pubblico e spazio privato e sulla possibilità di creare tra i due uno spazio intermedio di relazione. Tale concezione si concretizza in quella che viene definita in questi anni “architettura della partecipazione”, in cui abitanti e progettista collaborano attivamente nella creazione del progetto.
Tra i casi più riusciti ricordiamo i Dormitori universitari della facoltà di Medicina di Bruxelle, in cui l’architetto belga Lucien Kroll portando avanti un processo continuo di scambio di idee e soluzioni con gli studenti della facoltà, da vita ad una sorta di “patchwork” architettonico, in cui ogni elemento è diverso dall’altro; oppure il complesso del Villaggio Matteotti a Terni di Giancarlo De Carlo, in cui i futuri occupanti selezionano progressivamente le soluzioni muovendosi all’interno di un abaco di possibilità redatte dal progettista.
La sempre maggiore consapevolezza del ruolo decisionale degli abitanti fa nascere anche movimenti auto-organizzati che ripensano i rapporti tra spazi pubblici e spazi privati. Nasce così nei paesi nordici il movimento del cohousing basato sulla multigeneralità degli utenti, sull’uso collettivo di alcuni spazi e sull’organizzazione del processo progettuale dal basso, attraverso la collaborazione degli abitanti. Tra i centinaia di complessi che si realizzeranno su questo modello ricordiamo il complesso di Savvaerket dello studio Tegnestuen Vandkunsten, in cui 21 unità abitative sono organizzate attorno ad una strada interna ad “L”, lungo la quale sono localizzati tutta una serie di servizi semi-pubblici come l’asilo, la lavanderia, la falegnameria.
Ma il punto più alto di questa ricerca sull’architettura della partecipazione è il Byker Wall a Newcastel in Scozia di Ralph Erskine, che combina l’attenzione alla realtà degli utenti e alle loro specificità culturali con una rara sensibilità architettonica. Si tratta di un grande muro ondulato  in pianta e in sezione, contenete alloggi di diverso taglio, che, da un lato  svolge la funzione di grande Landmark urbano, e dall’altro protegge il resto del complesso che è formato da case a tessuto di due o tre piani, combinando in maniera convincente i due approcci più innovato sul tema della formazione dello spazio urbano, l’approccio per tessuto e l’approccio per forma.